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La prima volta: albe e tramonti dal PCI a oggi

Politica
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Una meditazione pacata, causata da un recente fatto di cronaca, che sembra intravvedere panorami lontani, che, dopo quarant’anni, sono sotto i nostri occhi, la realtà della politica che contempliamo con stupore, una realtà che giunge dalla storia di molti decenni.

 

Dicono che la prima volta faccia male, se non ci credete domandatelo al Pci. Nella buona società, parrebbe di cattivo gusto sghignazzare sulle sventure altrui, ma qui la società è diversa. Tiro fuori una cartella gonfia, e sfoglio.

Chi abbia la pazienza di leggermi, sa che sono un buon archivista. Taglio, classifico, metto via. Poi, magari, me ne dimentico e i miei ritagli dormono nella cartella, finché mi accorgo che sono invecchiati e li butto nel cestino. Direi che è giunto il momento per la cartella che comincia ai tempi della grande avanzata del 1976. Che miseria, o cittadini: che pena. La corse a mettersi in luce, in riga, le adulazioni, i lecca-lecca al vincitore di domani: e gli annunci, che costui proferiva: saremo al potere l’anno tale, l’ora tale.

C’è sempre, negli orari comunisti, l’appuntamento cruciale con qualche tappa storica. Kruscev giurò di scavalcare l’economia americana per il 1970. Questi qua, dovevano andare al potere nel 1977, poi nel 1978, e non ci sono arrivati, nonostante che la Democrazia Cristiana abbia fatto ben poco per impedirglielo; anzi.

Partito di opposizione per venticinque anni, rivoluzionari a parole, quando gli prese la fregola per il governo, si scoprì che il solo modo che avevano di andarci era di farsi imbarcare da quelli che c’erano già. Ecco come diventarono “partito di lotta e di governo”, sostituendo la comoda congiunzione et allo scomodo aut.

Fra le due guerre venne di moda il dilemma “burro o cannoni”, e qualcuno inventò la risposta conciliativa “cannoni di burro”, ma erano scherzi di goliardi, a nessun segretario di partito sarebbe venuto in mente di farci un programma politico. Invece, Berlinguer, volle essere tutto e in contrario di tutto; nella sua interpretazione involgarita e faccendiera del gramscismo, si mise in testa di scavalcare ogni possibile trasformismo inventato dalla fantasia politica degl’italiani, sempre fertile, imprevedibile e inesauribile, in trenta secoli. Povero Depretis, l’espressione biologica riflettente la teoria dell’adattamento naturale, l’avevano trasferita nella politica per definire la sua azione, volta a scolorire fisionomie e caratteristiche dei partiti esistenti, per rendere più facili alleanze naturali e soluzioni indecenti. Fu Giosue Carducci che l’adoperò per primo nel senso sferzante che poi perse per istrada: “Questa ombra bizantina di trasformismo” è la sdegnosa espressione che si legge in Confessioni e battaglie. (Ma gli studenti di Bologna fischiarono, per trasformismo, anche lui). Povero Depretis, dicevo, di fronte a Berlinguer ci faceva la figura dell’apprendista inesperto. Dall’estero, ci guardavano sbalorditi, sempre in bilico tra il disprezzo e l’ammirazione.

L’eurocomunismo, ma col permesso di Mosca; la società socialista, col sorriso della Confindustria, l’austerità spartana, senza negare una mano amica alle rivendicazioni sindacali, lotta al terrorismo, ma senza eccedere coi poteri della polizia; mancava soltanto di scavalcare la Democrazia Cristiana nella difesa della religione.

Provarono anche quello. Il più bello dei miei ritagli riguarda una lettera di protesta che il deputato comunista Antonello Trombadori scrisse al presidente della commissione sulla Rai-Tv, per chiedere “esaurienti chiarimenti sul grave caso di censura” avvenuto dopo che i sequestratori della signora Marcella Boroli avevano messo i libertà la loro vittima. Gl’intervistatori dei due telegiornali concorrenti, che con imparziale pazienza il contribuente italiano sfama, le chiesero quali forze l’avessero aiutata a resistere, e la signora rispose: “Il pensiero di Dio, e della mia famiglia”. Nella versione trasmessa dal “Tg2” questa frase era scomparsa. Con la stessa velocità con cui, negli anni ruggenti, Giancarlo Pajetta scavalcava i banchi di Montecitorio per andare a far a botte nell’emiciclo, il deputato Trombadori scavalcò ogni intenzione che a qualche democristiano potesse far sorgere, di difendere Dio e la famiglia, e chiese provvedimenti contro le “censure” del telegiornale delle sinistre. Bravo Antonello, dovette telefonargli il bell’Enrico: qui va a finire che ci facciamo una posizione  di Defensores fidei. Proprio allora cominciarono a giungere, attraverso le fessure di piccole elezioni locali, gli sbuffi della base e la noia degli elettori. La prima volta deve far male davvero, dopo tanti anni di cattive abitudini.

Male a loro, s’intende. Può far bene a tutti gli altri. Purché non si dimentichi che, fino ad oggi, la sola e vera forza del Pci, è stata la debolezza degli avversari. Se questa continuerà come prima, anche la nuova, e in questa dimensione imprevista,  debolezza del Pci, per la prima volta in ritirata, potrà rivelarsi una nuova forza.

Perdonatemi i bisticci, soltanto apparenti.

Da “Il Giornale”, venerdì 8 giugno 1979