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Lavoro: note in libertà!

Lecce
Ph. Antonio Capodieci / Lecce

Conclusa la consueta sbornia annuale dei festeggiamenti per il lavoro composti da discorsi, concerti, memoria, svago o, per alcuni, lavoro, mi prendo la libertà di scrivere questa breve nota di riflessioni sparse, giusto per rimettere insieme alcune idee prima di riordinarle, cosa che spero si possa avere l’occasione di fare non da solo.

Sul lavoro come componente della qualità della vita e della dignità umana credo ormai pochi dubitino ma … l’avvento delle macchine sta spostando gli equilibri fino a pochissimo tempo fa esistenti, ponendo il tema se nel prossimo futuro ciò che fino ad ora abbiamo chiamato lavoro potrà essere così definito: un aspetto della vita umana necessario per il mantenimento di persona e famiglia e che può essere anche fattore di stima (da parte degli altri) e di autostima, e quindi di soddisfazione personale (per chi riesce a costruirsela).

Da questo aspetto emerge il tema di con cosa verrà eventualmente sostituito: c’è chi dice che le macchine ci manterranno e che noi beatamente avremo tempo libero per deliziarci in facezie, hobbies vari, attività culturali e di volontariato (che spesso poi diventa un lavoro ma che perlomeno si dovrebbe avere personalmente scelto). Qui però sorge spontaneo un quesito: ma siamo poi davvero capaci di usare il tempo libero? Di primo acchito tutti dichiarano di saperla lunga ma quando poi approfondisci cominciano i dubbi! Forse perché tra l’aspirare e il fare c’è di mezzo il dichiarare!

Il tono scherzoso però non deve farci dimenticare lo spauracchio dei licenziamenti ossia di coloro che, intanto che le macchine crescono e gli altri si sistemano, perdono il lavoro che, per quanto tradizionale ne possa essere il concetto, rimane al momento una necessità. Dovremo abituarci a questa parola, l’economia non può più permettersi il mantenimento sine qua non, ma al contempo la società non può più permettersi di non accompagnare davvero le persone verso lidi nuovi e soddisfacenti (aspetto insospettato della sostenibilità).

Congiuntamente assistiamo alle modificazioni del lavoro, in cui il cosiddetto smart working rappresenta il mood del momento. Senza avere capito che è di per sé una soluzione organizzativa come tante altre e che va soppesata con attenzione ed opportunismo lato azienda/istituzione e lato persona/collaboratore, nell’ultimo anno abbiamo imparato tante cose: tra queste che è una potenziale opportunità per tutti non scevra al contempo di criticità (ma alla fine il computer chi lo deve pagare davvero?). Alcune idee per il mondo universitario, ma mi sa vadano bene anche per gli altri, le trovate in un piccolo contributo. pubblicato sul sito del mio ateneo.

A questo punto un momento di serietà. Lavoro significa anche incontro persona e organizzazione. Nessuno può pensare di operare completamente da solo ma o sei un professionista singolo o fai parte di una entità chiamata azienda o istituzione. Se per il singolo il lavoro significa il se stesso (se non altro si organizza da sé), per chi è parte di un’organizzazione più ampia la situazione è ben differente: “non è l’impiegato che paga gli stipendi: lui maneggia soltanto il denaro. È il prodotto che paga gli stipendi.” disse Henry Ford nel secolo scorso. E ciò vale anche oggi. E questo significa che nell’incontro tra persona e azienda/istituzione c’è anche l’incontro con gli altri, situazione in cui l’organizzazione ingegnerizza il proprio prodotto (o servizio) sperando che i propri collaboratori riescano, svolgendo i propri compiti insieme, a ripagarsi. Un fatto che mette fortemente in gioco la personale identità professionale (e qui ritorna in primo piano il singolo e la sua capacità di stare nel sistema), ma anche la capacità della istituzione di scegliere le persone e di farle crescere.

Infine, lavoro significa anche contribuire a fare lavorare gli altri: io qui mi fermo, ma probabilmente ci sono ancora tante altre cose che si possono aggiungere. Volete provarci voi?