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Indietro

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Proviamo a riflettere sulle volte in cui, nel lavoro, abbiamo avuto la sensazione di percepire uno scarto tra gli obiettivi prefissati e la nostra capacità di raggiungerli; sulle liste di cose da fare nella giornata che non siamo riusciti a compiere e che abbiamo rimandato. Oppure proviamo a pensare alle situazioni in cui abbiamo visto il lavoro accumularsi anche solo perché era insufficiente il tempo per adempierlo. In breve: quante volte abbiamo sentito di essere “indietro”?

Occorre allora chiedersi cosa può voler dire davvero essere o sentirsi “indietro”,

La parola “indietro” non ha una particolare pregnanza di significato, né una suggestiva ricchezza di sfumature. Essa evoca un concetto di relazione, che può essere spaziale o temporale.

Spazialmente, indietro si contrappone ad avanti. Indica il movimento opposto a quello di chi avanza: stare o tenersi indietro significa allontanarsi da qualcosa, retrocedere.

Nell‘uso comune, la parola indietro ha spesso un’accezione temporale, sia reale, sia metaforica. In quest’ultimo caso, la locuzione “guardare indietro” può evocare memoria, nostalgia o, persino, struggimento. Analogamente, andare avanti senza “voltarsi indietro” sottende il desiderio di chiudere i conti con il passato, di voltare definitivamente pagina.

Metaforicamente, “tirarsi indietro” vuol dire ritrarsi, esimersi dal fare qualcosa, rinunciare per Prudenza ma anche per indifferenza o codardia.

Infine, sentirsi tacciati di “essere indietro” è il segnale che veniamo percepiti come non allineati ai tempi, che siamo fuori moda e, probabilmente, inadeguati rispetto ai mutamenti in atto.

C’è poi una sensazione tutta interiore di “essere indietro”, la quale ha a che fare con la capacità di tenere il passo nel lavoro o, in generale, rispetto agli impegni assunti. A volte può capitare di essere temporaneamente in affanno rispetto alle cose da fare. Ma quando la sensazione di essere “indietro” ci attanaglia e genera ansia, preoccupazione o, persino, angoscia, oppure quando arriva a toglierci il sonno allora occorre davvero fermarsi e riflettere.

Essere indietro implica l’idea di uno scarto che fatichiamo a colmare, frequentemente legato al “troppo”: troppi incarichi, troppe scadenze, troppe mail da leggere, troppe risposte da dare, troppe riunioni, troppi spostamenti, oppure troppe ore dedicate a un solo compito a discapito di altri, che comunque incombono e reclamano la nostra attenzione (leggi "Muda… sì ma io?").

La dimensione della quantità incrocia quella del tempo; entità incommensurabili, perché il tempo non è un dato soltanto cronologico ma anche qualitativo. Lo sapevano bene gli antichi greci, allorché utilizzavano due diverse parole per indicare il tempo: chronos e kairós. 

La prima esprimeva il tempo in senso cronologico-sequenziale; la seconda, il tempo opportuno, quello da dedicare, incuranti della quantità, alle decisioni importanti. Kairós è, dunque, il tempo della riflessione, del consiglio e del negoziato. Incontra chronos senza tuttavia rimanerne schiacciato o sopraffatto.

Con questa consapevolezza torniamo a noi: quando abbiamo la sensazione di essere perennemente indietro, probabilmente la qualità della nostra esistenza lavorativa si si è già molto abbassata.

Fronteggiare una situazione di questo tipo è indispensabile e forse richiede non già più tempo bensì uno scatto di Saggezza e libertà.

Si potrebbe cominciare con il cambiare la prospettiva: e se, mentre ci affanniamo per essere in pari con il nostro lavoro, a rimanere indietro – come suggerisce un racconto africano – fosse la nostra anima? Ci siamo mai chiesti questo? Ad esempio, se sono rimasti indietro la cura del nostro benessere e delle relazioni lavorative, il tempo per riflettere su ciò che stiamo facendo e su ciò che siamo, la ponderazione delle questioni che sentiamo importanti, l’attenzione alle scelte che impegnano persone diverse da noi o le generazioni future. Questo “rimanere indietro” sì che sarebbe imperdonabile. Spesso capita che siamo indietro rispetto a input che sono solo urgenti ma non realmente importanti.

E si potrebbe continuare, in questo scatto di saggezza e libertà, con l’accettare l’imperfezione, perché essa fa parte di noi. E ancora, si potrebbe imparare a dialogare di più e a esplicitare i nostri bisogni, e ad avere l'Umiltà di esplorare strategie cooperative. Solo se operiamo tale “cambio di lenti” possiamo puntare a una selezione (leggi "Imperfezione, potatura, perdita), a una migliore Organizzazione e a una diversa progettualità (leggi "Progetto").

Quando siamo terribilmente indietro con il lavoro proviamo dunque a fermarci un momento, sperimentando la dimensione del kairós, e cercando di capire se ad essere ancora più indietro, rispetto a dove siamo lavorativamente, siamo proprio noi stessi.